Proprietà intellettuale nell’economia del ventunesimo secolo

October 17, 2017

Joseph Stiglitz

Arjun Jayadev

Joseph E. Stiglitz, Dean Baker and Arjun Jayadev
Project Syndicate, 17 ottobre, 2017

La Nación, 21 Ottobre, 2017
Revista de Prensa, 19 Ottobre, 2017

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Quando il governo del Sud Africa ha tentato di modificare le sue leggi nel 1997 per usufruire di medicinali generici a basso costo per il trattamento dell’HIV/AIDS, l’industria farmaceutica globale ha esercitato tutto il suo potere sul paese, ritardando la loro attuazione e causando un elevato costo umano. Il Sud Africa alla fine ha avuto ragione, ma il governo ha imparato la lezione: non ha più provato a mettere la salute e il benessere dei suoi cittadini nelle sue sole mani sfidando il regime convenzionale della proprietà intellettuale .Fino ad ora. Il gabinetto sudafricano sta cercando di definire una politica sulla proprietà intellettuale che promette di aumentare in maniera sostanziale l’accesso ai medicinali. Il Sud Africa affronterà senza dubbio ogni tipo di pressioni bilaterali e multilaterali dai paesi ricchi. Tuttavia il governo ha ragione e altre economie emergenti e in via di sviluppo dovrebbero seguire le sue orme.

Negli ultimi vent’anni, c’è stata una seria opposizione da parte dei paesi in via di sviluppo contro l’attuale regime di proprietà intellettuale. In larga parte, ciò è dovuto al fatto che i paesi ricchi hanno cercato di imporre un modello valido per tutti, influenzando il processo di creazione delle leggi dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e forzando la loro volontà tramite accordi commerciali.

Gli standard PI che i paesi avanzati di solito peferiscono sono pensati non per massimizzare l’innovazione e il progresso scientifico, ma per massimizzare i profitti di grandi case farmaceutiche e di altre società in grado di influenzare le trattative commerciali. Non deve stupire quindi che i grandi paesi in via di sviluppo con forti basi industriali – come Sud Africa, India e Brasile – stanno guidando il contrattacco.

Questi paesi puntano principalmente a dimostrare in maniera evidente l’ingiustizia della proprietà intellettuale: l’accessibilità a medicinali fondamentali. In India, un emendamento del 2005 ha dato vita a un meccanismo unico per ristabilire l’equilibrio e la correttezza nei criteri brevettuali, salvaguardando così l’accesso. Tramite il superamento di diverse sfide nei procedimenti nazionali e internazionali, la legge è riuscita a conformarsi alle norme dell’OMC. In Brasile, l’azione precoce del governo per curare le persone affette da HIV/AIDS ha portato a diverse negoziazioni riuscite che hanno abbassato considerevolmente i prezzi dei medicinali.

Questi paesi sono pienamente giustificati nell’opporsi a un regime di proprietà intellettuale che non è né equo né efficiente. In un nuovo saggio, rivediamo le argomentazioni sul ruolo della proprietà intellettuale nel processo di sviluppo. Mostriamo che la preponderanza di prove teoriche ed empiriche indica che le istituzioni economiche e le leggi che proteggono la conoscenza nelle economie avanzate di oggi sono sempre più inadeguate per governare l’attività economica globale, e sono scarsamente adatte a soddisfare i bisogni dei paesi in via di sviluppo e dei mercati emergenti. Infatti, difficilmente soddisfano i bisogni umani più elementari come un’adeguata assistenza sanitaria.

Il problema principale è che la conoscenza è un bene pubblico (globale), sia nel senso tecnico che il costo marginale di chi lo utilizza è pari a zero, sia nel senso più generale che un aumento della conoscenza può migliorare il benessere a livello globale. Considerato ciò, ci si preoccupa che il mercato fornirà poca conoscenza e la ricerca non sarà adeguatamente incentivata.

Negli ultimi anni del ventesimo secolo, l’opinione diffusa era che questo fallimento del mercato potesse essere rettificato meglio introducendone un altro: i monopoli privati, creati attraverso rigidi brevetti, imposti severamente. Ma la protezione privata della proprietà intellettuale è solo una strada per risolvere il problema della promozione e del finanziamento della ricerca, ed è stato più problematico di quanto precedentemente anticipato, anche per i paesi avanzati.

Una “selva di brevetti” sempre più fitta in un mondo di prodotti che richiedono migliaia di brevetti ha a volte soffocato l’innovazione, con soldi spesi più per avvocati che per i ricercatori in alcuni casi. E la ricerca spesso è diretta non a produrre nuovi prodotti ma a estendere, ampliare e usare a proprio vantaggio il potere del monopolio concesso tramite il brevetto.

La decisione del 2013 della Corte suprema degli Stati Uniti in base alla quale i geni non possono essere brevettati ha rappresentato un test sulla questione se i brevetti stimolano la ricerca e l’innovazione, come affermano i sostenitori, o rappresentano un ostacolo, restringendo l’accesso alla conoscenza. I risultati sono chiari: l’innovazione è stata accelerata, portando a test diagnostici migliori (per la presenza, ad esempio, dei geni BRCA legati al cancro al seno) a costi molto più bassi.

Ci sono almeno tre alternative per finanziare e incentivare la ricerca. Una è fare affidamento su meccanismi centralizzati di supporto diretto per la ricerca, come gli Istituti nazionali di sanità e la Fondazione nazionale per le scienze negli Stati Uniti. Un’altra alternativa è decentralizzare il finanziamento diretto tramite, ad esempio, i crediti di imposta. Oppure, un organismo governativo, una fondazione privata o un istituto di ricerca possono vincere premi per le innovazioni di successo (o altra attività creativa).

Il sistema brevettuale può essere pensato come la vincita di un premio. Ma il premio impedisce il flusso di conoscenza, riduce i benefici e distorce l’economia. Al contrario, l’alternativa finale a questo sistema massimizza il flusso di conoscenza, mantenendo un popolo creativo, esemplificato dai software open source.

Le economie in via di sviluppo dovrebbero usare tutti questi approcci per promuovere l’apprendimento e l’innovazione. Dopo tutto, gli economisti hanno riconosciuto per decenni che il fattore più importante della crescita – e quindi dei miglioramenti nello sviluppo e nel benessere umano – è il cambiamento tecnologico e la conoscenza che ne deriva. Ciò che separa i paesi in via di sviluppo dai paesi sviluppati è un divario nella conoscenza quanto nelle risorse. Per massimizzare il benessere sociale globale, i decisori politici dovrebbero incoraggiare fermamente la diffusione della conoscenza dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo.

Tuttavia, mentre teoricamente esistono solide motivazioni alla base di un sistema più aperto, all’atto pratico il mondo si sta muovendo nella direzione opposta. Negli ultimi 30 anni, il regime di proprietà intellettuale ha eretto più barriere all’uso della conoscenza, spesso causando l’allargamento del divario tra i guadagni sociali in termini di innovazione e i guadagni privati. Le potenti lobby delle economie avanzate che hanno dato forma a questo regime chiaramente mettono al primo posto i guadagni privati, riflessi nella loro opposizione ai provvedimenti che riconoscono i diritti di proprietà intellettuale associati alla conoscenza tradizionale o alla biodiversità.

L’adozione diffusa della rigida protezione della proprietà intellettuale di oggi è storicamente senza precedenti. Anche tra i primi paesi industrializzati, la protezione della proprietà intellettuale è arrivata molto in ritardo e spesso era volutamente respinta per consentire un’industrializzazione e una crescita più veloce.

L’attuale regime di proprietà intellettuale non è sostenibile. L’economia globale del ventunesimo secolo sarà differente da quella del ventesimo in almeno due aspetti cruciali. Primo, il peso economico di paesi come Sud Africa, India e Brasile sarà sostanzialmente alto. Secondo, “l’economia senza peso” – l’economia di idee, conoscenza e informazione – rappresenterà una quota crescente della produzione, sia nelle economie sviluppate che in quelle in via di sviluppo.

Le norme relative alla “governance” della conoscenza globale devono cambiare per riflettere queste nuove realtà. Un regime PI dettato dai paesi avanzati oltre venticinque anni fa, in risposta alle pressioni politiche da parte di alcuni dei loro settori, ha poco senso nel mondo attuale. Massimizzare i profitti per i pochi, piuttosto che lo sviluppo e il benessere globale per i molti, non acquistava più significato nemmeno allora, – eccetto in relazione alle dinamiche di potere del tempo.

Quelle dinamiche stanno cambiando e le economie emergenti dovrebbero guidare la creazione di un sistema di proprietà intellettuale equilibrato che riconosce l’importanza della conoscenza per lo sviluppo, la crescita e il benessere. Ciò che importa non è solo la produzione di conoscenza, ma anche il suo utilizzo in modo tale da mettere la salute e il benessere delle persone davanti ai profitti aziendali. La decisione del Sud Africa volta a garantire l’accesso ai medicinali potrebbe essere una tappa fondamentale verso questo obiettivo.

Traduzione di Rosa Marseglia

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